Archivi tag: opuntia

Turchia on the road 4 (come rincorremmo il sole sulla spiaggia di Patara)

Standard

Patara (1) (Medium)Immaginate una lunghissima spiaggia di sabbia fine e bianca, il tramonto, il vento che ruzzola sulle dune creando un micropaesaggio fatto di sottili increspature e di rami ritorti e modellati dal salmastro, in cui le zampe dei gabbiani disegnano traiettorie indecifrabili: siete a Patara, sulla costa della Licia, e incredibilmente siete soli, nessuna altra ombra si allunga intorno a voi e l’unico segno della presenza umana sono le impronte lasciate sul bagnasciuga.

Uno dei tanti ricordi indimenticabili di questo viaggio è come rincorremmo il sole in controluce sulle dune, lui sempre più basso all’orizzonte ma nonostante questo inafferrabile. Leggi il resto di questa voce

Opuntie a palettate per tutti

Standard

Continua la rassegna delle Opuntia: è un genere che comprende un vastissimo numero di specie e sarà dunque classificato come il vostro incubo peggiore (un assaggio di cosa può significare qui). Dopo l’Opuntia microdasys ondulata, è la volta dell’Opuntia microdasys velour: sì, si tratta di due varietà della medesima specie, ma a prima vista non si direbbe proprio viste le notevoli differenze. Mentre la prima ha epidermide verde brillante e areole fitte di glochidi di un colore giallo squillante, la seconda è verde grigio, ma soprattutto ha areole praticamente prive sia di spine che di glochidi. Beh, qualche motivo per appartenere alla medesima specie ce l’avranno, sarà una questione di DNA che però rimane accuratamente nascosta. Senza considerare che la sottospecie ondulata ha tempi di crescita rapidissimi, mentre la velour ha tempi a dir poco geologici: in un anno è nato appena un nuovo articolo.All’inizio la nuova paletta si è palesata come un nocciolino rosso ruvido, e sulle prime ho pensato trattarsi di orribile&sconosciuta malattia… Peste? Invece poi ha preso forma e ho potuto tirare un sospiro di sollievo e un moto di tenerezza alla vista di questo capolavoro in miniatura, che racchiude tutto in potenza: l’epidermide priva di imperfezioni, le areole vicine vicine che si allontaneranno con la crescita, le foglie nella forma di appendici cilindriche in corrispondenza delle areole, destinate a scomparire ben presto ma che adesso formano una morbida peluria lungo il margine superiore.

Un anno con l’Opuntia microdasys ondulata

Standard

E’ da molto tempo ormai che vorrei scrivere un post sulla mia Opuntia microdasys ondulata, una pianta che possiedo da un anno esatto e che mi è molto cara.  Il fatto tuttavia è che alcuni cactus sono fotogenici, e quindi è un piacere fotografarli e pubblicarne le immagini, mentre altri come li prendi li prendi vengono sempre da schifo… Come gli umani d’altra parte, alcuni in foto rendono bene, mentre altri vengono sempre male (i pulcini come me vengono sempre bene – ahahah!). Questa pianta purtroppo appartiene decisamente alla seconda categoria. Certo che se le mie doti di fotografo fossero migliori forse il problema non si porrebbe, ma vorrei vedere voi a essere alti 4 cm e scattare foto con una macchina che è almeno cinque volte tanto!

L’Opuntia microdasys è una succulenta di piccole dimensioni che ben si presta alla coltivazione in vaso (senza il rischio di ritrovarsi sommersi da una selva di enormi palette e spine lunghe come fiocine come capita con altre specie del vasto genere Opuntia), originaria degli altipiani centrali del Messico e dunque adatta come poche al microclima agostano di Firenze. Si declina in un ampio numero di varietà, come l’albispina, caratterizzata dal colore bianco dei glochidi, la pallida per il colore giallastro dell’epidermide, la rufida per il colore rosso dei glochidi, e così via, fino ad arrivare alla ondulata… considerata la fantasia sin qui dispiegata da chi ha individuato la nomenclatura scientifica, direi per la forma irregolare e spesso arricciata e stropicciata degli articoli.

La foto a sinistra mostra la pianta il giorno dell’acquisto. A dire la verità l’avevo presa perchè aveva una paletta centrale e sopra due palette laterali simmetriche: sembrava la silhouette di Topolino e mi aveva fatto tanta simpatia (eh sì, brillo per il rigore sistematico con cui valuto i miei acquisti), però nel trasporto una delle due palette si è staccata, con mio notevole disappunto pienamente condiviso dalla Disney… Due mesi fa invece la pianta si presentava come nella foto a destra: non è incredibile? Nel giro di circa dieci mesi sono spuntate nuove palette ovunque! Due hanno preso il posto dell’articolo perduto, mentre altre due sono nate dalla paletta superstite, e a loro volta hanno prodotto altre palette… Queste piante le puoi fare a fette e non si danno mai per vinte, ricominciano daccapo, una paletta, due palette, tre palette… Ma la cosa più incredibile è cosa è successo nei due ultimi mesi: la terza foto infatti è stata scattata oggi. Quelle che due mesi fa erano giusto minuscole escrescenze, oggi sono degli articoli pienamente formati, e quello che si vede in primo piano è chiaramente a forma di cuore… Che dite, sarà un messaggio per me?

Le due foto successive fanno male agli occhi da quanto sono sfuocate: non è crudeltà la mia, è perchè mi piaceva far vedere il dettaglio delle areole con i glochidi. Quelle simpatiche setoline gialle gialle sono una struttura particolare caratteristica del genere Opuntia: si tratta di un tipo particolare di spina, sottilissimo e uncinato, che si trasforma in un’arma temibile se viene sfiorato. Penetrano infatti nella pelle e si possono estrarre solo con molta difficoltà. Quando si maneggia questa pianta, sempre mettere i guanti! Un’altra precauzione da prendere riguarda la palette: il punto di congiunzione fra le varie palette è piuttosto delicato, e basta veramente un colpetto incauto per farle staccare e cadere… In tal caso basterà metterle in terra come una qualsiasi talea di fusto, e radicheranno senza difficoltà, però è un peccato, meglio starci attenti!

La talea di frutto è una realtà

Standard

Lo scorso anno in Grecia avevo preso un frutto di una piccola Opuntia nana che adornava un tabernacolo campestre di una zona sperduta del Mani. A casa, ne avevo estratto i semi, ed avevo provato a seminarli. Avevo letto da qualche parte in Internet che i semi delle Opuntie hanno una superficie particolarmente dura, e perciò dovrebbero essere sottoposti a scarificazione, ovvero ad un trattamento che serve ad ammorbidire il seme e permettergli di germogliare, e che si può effetture in diversi modi più o meno cruenti, che vanno dall’ammollo in acqua calda  fino al bagno in acidi vari. Inutile dire che non ho effettuato nessuno di questi trattamenti, fedele ad un concetto di giardinaggio a impatto zero (?), e infatti non è nato proprio niente!

Lo scorso maggio in Sicilia ho preso un altro frutto del tutto identico a quello che avevo trovato in Grecia: non so a che specie del genere Opuntia appartenga, ma mi piace molto il suo colore rosso-viola. Avevo letto, sempre da qualche parte che non ricordo, che oltre alla talea di foglia e alla talea di fusto esiste anche la talea di frutto! Cioè, come dire che io compro una mela, la metto per terra e diventa un melo… Sì, avete capito bene! Ora, non credo che funzioni proprio proprio per tutti i frutti… Comunque io ho provato a mettere in un vasetto il frutto con l’attaccatura verso il basso inserita nella terra: ed ecco il risultato! Non solo in questi due mesi il frutto non si è ammosciato e non è marcito, ma accanto ad esso sta spuntando una paletta che ha tutti i crismi per essere una futura Opuntia! Vi assicuro che è spuntata veramente dal frutto: se si prova a muoverlo delicatamente, la paletta si muove insieme con lui. E per rassicurarvi su questo fatto, si vede chiaramente nella seconda foto che sta per spuntare una seconda paletta, accanto alla prima, proprio dalla superficie del frutto…

“Baby palette a chi?”

Standard

C’era una volta una talea di Opuntia…

La paletta trovata a terra il 22 aprile a Castiglioncello ha radicato velocissimamente: già a metà giugno stavano crescendo due nuovi articoli, ed ora sta continuando a crescere a dismisura! Ormai si può tranquillamente dire che è una pianta formata: le due baby palette sono diventate addirittura più grandi della paletta madre, che ad un certo punto si è anche un po’ inclinata (temevo che avrebbe perduto il baricentro andando a finire a gambe all’aria ma poi si è riequilibrata da sola con la crescita), e adesso stanno spuntando quattro palette di seconda generazione. Non posso che essere felice dei risultati! Tuttavia inizio a preoccuparmi per questa crescita esponenziale…

Osservando un Tephrocactus

Standard

Lo scorso 10 agosto, per San Lorenzo, mi trovavo al mare a Castiglioncello e sono rimasto ore davanti ad una bellissima bancarella di piante grasse allestita sul porto turistico – e agogno di ritrovarcela quest’anno! A quel tempo la mia collezione era composta soltanto da una Mammillaria polythele inermis; la bancarella aveva una scelta spropositata, con tantissime piante particolari (mostruose, crestate ecc. ecc.) anche di un certo costo. Dopo lunghissime riflessioni comprai tre piantine: una seconda Mammillaria, una Crassula e questa, che ho poi identificato come un Tephrocactus, credo della specie Tephrocactus dactiliferus. Il genere, che raggruppa specie molto variabili l’una rispetto all’altra, è originario delle Ande, dove gode di un clima caratterizzato da inverni freschi e secchi ed estati calde con rare precipitazioni, ed è per questo motivo che in inverno può sopportare temperature anche prossime a 0° (come la maggior parte dei cactus che contrariamente a quanto si possa credere NON vanno ricoverati in casa durante la stagione fredda), purchè tenuto pressochè privo di annaffiature. Predilige un’esposizione in pieno sole, che qui sul mio terrazzo di sicuro non gli sta mancando!

Questa pianta mi è piaciuta per i suoi articoli cicciottosi, che somigliano a quelli delle Opuntie ma se ne differenziano perchè non sono piatti ma di forma ovoide. L’epidermide è di colore verde grigio, ed è disseminata da areole da cui spuntano dei fitti mazzetti di glochidi, ovvero spine corte e setolose che si staccano facilmente al contatto e si insinuano nella vostra, di epidermide, per non lasciarvi mai più.

Durante la fase vegetativa, ad un certo punto i glochidi di un’areola inizieranno ad aprirsi a ventaglio: questo è il segnale che Alien sta per arrivare dal di dentro come nelle migliori tradizioni. Infatti, ecco spuntare in mezzo alle spine un aggeggino di colore verde chiaro con tante foglioline a punta: non è una qualche insondabile malattia che si è impadronita del cactus, è un nuovo articolo! Come per le Opuntie, anche i nuovi articoli dei Tephrocactus hanno delle piccole foglie di forma cilindrica allungata, che scompaiono precocemente con la crescita. E’ divertentissimo osservarne i cambiamenti di giorno in giorno (ognuno si diverte come può, evitiamo facili ironie)! Presto il nuovo articolo sarà pienamente formato; dapprima sarà riconoscibile rispetto agli altri per il colore più chiaro, poi diventerà dello stesso colore degli altri. Nelle due foto sotto, due diversi stadi di crescita di un articolo: quello a sinistra è appena appena spuntato, e se ne distinguono le foglie in mezzo ai glochidi, mentre quello a destra è già formato, ed ha perduto quasi completamente  le foglie. Qua e là si possono vedere altri glochidi aperti a ventaglio: bisogna tenere d’occhio quel punto!

Baby palette sotto la canicola

Standard

Fa un caldo boia in questi giorni, a Firenze. Guardo il mio terrazzo esposto a sud sotto la canicola e ringrazio che mi sia venuta la fissa per le piante che occupano gli habitat più torridi dal Messico al Sud Africa passando per la Bolivia ed il Perù invece che per le conifere e le altre piante tipiche della Groenlandia. A momenti temo di veder esplodere qualche cactus, o ritrovarlo bollito, o autocombusto, e altri scenari splatter di tal fatta.

Ecco un aggiornamento alla volè sulla crescita del fico d’india preso a Castiglioncello ad aprile. Confrontando le immagini con quelle di una settimana fa, si può vedere che le palette adesso sono perfettamente formate, e conservano ancora le foglie appuntite che scompariranno presto con la crescita della pianta. Sono fiero della riuscita di questa talea, e curioso di vedere se ne spunteranno altre a breve!

La ricetta: palette di Fico d’India arrosto

Standard

Uno spettacolare Fico d’India che ho fotografato a Catania, davanti al Castello Ursino, durante l’ultimo viaggio in Sicilia di maggio.

Trovo bellissimo il fatto che il tronco sia costituito dalle palette più vecchie, diventate con il passare del tempo legnose. Lo si può notare osservando la parte bassa del tronco, dove non si riescono più distinguere le singole palette l’una dall’altra, e poi risalendo con lo sguardo lungo il tronco, fino ad incontrare una paletta che è già legnosa ma mantiene ancora la sua forma.

Le palette più giovani, di colore verde brillante e ancora di piccole dimensioni, possono essere mangiate. L’ho appreso dagli amici messicani che viaggiavano con me: e infatti a loro, alla vista di tutti gli enormi fichi d’india presenti ovunque, venivano le lacrime agli occhi e l’acquolina alla bocca! Alla fine, abbiamo compiuto un raid lungo una statale, raccogliendo con un coltello affilato un panierino di palette, che poi abbiamo accuratamente pulito dalle spine, una volta giunti a casa, e successivamente cucinato. Purtroppo non ho scattato alcuna foto che documenti il momento. Abbiamo tagliuzzato il bordo di ogni paletta in modo da formare una specie di “manina”, poi le abbiamo arrostite sulla griglia, e condite con limone oppure con formaggio grattugiato! Ottime, hanno un sapore simile a quello del carciofo!!! Si possono anche mangiare crude in insalata, oppure farle bollire a tocchetti insieme a cipolla e peperoncino e consumarle come contorno di un piatto di carne. Alla prossima occasione dovrò provare anche queste ricette!

Da talea a pianta 3: un fico d’India da Castiglioncello

Standard

Lo scorso 22 aprile, in una delle poche (sinora) giornate di bel tempo di questa primavera, ho passato una giornata a Castiglioncello, passeggiando in pineta e percorrendo poi tutto il lungomare fino a Caletta. Tutte le estati della mia infanzia le ho passate a Castiglioncello, e per questo motivo ogni angolo mi è caro, dal Castello Pasquini dove ho visto il mio primo balletto, al minigolf, al passaggio a livello dove si andava a vedere passare il treno. L’odore della pineta è come la madeleine di Proust, e ogni svolta del lungomare rievoca ricordi.

Durante la passeggiata sul mare, ho notato una pianta di fico d’India, a cui si era staccata una paletta. Le palette delle Opuntie sono molto delicate, e spesso basta un tocco inavvertito per farle cadere. Sinora avevo acquistato un paio di piccole Opuntie nane (Opuntia microdays velour e Opuntia microdays ondulata) e due Opuntie crestate (Opuntia cilindrica crestata e Opuntia vestita crestata), ma non ero mai stata attratta dalle specie grandi, anche per una questione di opportunità: come trovare spazio nel mio terrazzo nel caso di un clamoroso successo di coltivazione? Però vedere la paletta a terra mi dispiaceva, e quindi l’ho presa e messa in un vasetto.

Se ci fosse bisogno di un ulteriore elemento per dimostrare la straordinaria vitalità delle piante grasse, eccolo! Non sono passati neppure due mesi, e la talea sembra aver già radicato: infatti da due delle areole iniziano a spuntare due nuove palette, che in termine tecnico chiameremo cladodi. Nelle piante appartenenti al genere Opuntia, i rami si sono trasformati sostanzialmente nelle palette (ed in effetti negli esemplari maturi lignificano costituendo il tronco vero e proprio), mentre le foglie sono presenti solo sulle palette più giovani, hanno la forma di linguette cilindriche (è possibile vederne nella foto in basso a destra), e scompaiono precocemente.