Salire le pendici del Monte Capanne, la vetta più elevata dell’Isola d’Elba, sopra il paese di San Piero in Campo, significa confrontarsi con un passato solo apparentemente remoto. I sentieri che risalgono la montagna attraversano infatti un paesaggio modellato prima, fino ad una cera quota, dall’attività di estrazione del granito, che dall’epoca romana prosegue tuttora, benché in misura molto minore, e successivamente disseminato di strutture in pietra dall’aspetto ancestrale: i caprili, ricoveri poverissimi per i pastori e le bestie, realizzati sovrapponendo filari di pietre a secco, così semplici da fondersi con la roccia da cui sembrano trarre radici.

Il Golfo di Lacona da sopra San Piero in Campo
Ci incamminiamo, lasciandoci alle spalle il campo sportivo di San Piero, in una incerta giornata di vento e di nubi che non appaiono minacciose ma offuscano solo a momenti la luce del sole. Un percorso che le nostra cartina indica di circa otto chilometri, da percorrere in sei ore. Sono le due e chissà dove riusciremo ad arrivare, ma tanto i sentieri della zona sono molti, ed è possibile volendo tornare indietro prima del previsto seguendo un diverticolo del percorso principale.
Saliamo seguendo il sentiero al di sopra delle cave tuttora attive e delle cave romane, da cui provenne forse il granito per il Pantheon e per il Colosseo, a Roma, e quello per la Torre pendente di Pisa. Ma in questo paesaggio, che presto diviene quasi lunare, non risuonano le memorie degli antichi romani: qui c’è solo cielo e macchia, il profumo delle ginestre che si mescola al ronzare dei calabroni, il riverbero bianco degli asfodeli e i petali appena aperti e ancora spiegazzati dal sonno del cisto. In questo oceano verde di foglie in cui nuotano i fiori come pesci colorati, i massi di granito sono isole, su cui ci arrampichiamo come esploratori: talvolta sono piatti, lisci e levigati, abbacinanti e infidi come scogli, talvolta invece si innalzano e si contorcono, modellati dall’erosione in forme fantastiche, come fossero spuma marina.

I petali appena aperti del cisto

Stelle di asfodelo

“Odorata ginestra, contenta dei deserti…”

Leopoldia comosa, detta anche Lampascione
Saliamo rapidamente, in un silenzio mai rotto dalla presenza umana, fino ad un quadrivio dove ci fermiamo per consumare un panino e riposare un poco. Capiamo, scambiando qualche parola con un paio di escursionisti che incrociamo in quel punto, che abbiamo sbagliato strada rispetto al percorso che volevamo compiere, ma due ragazzi ci consigliano di proseguire comunque e di arrivare in un punto detto Masso alla Quata, dove si trova un caprile di avvistamento. Il nome sembra suggestivo e proseguiamo.
Salendo sulla montagna, le formazioni piatte di granito su cui abbiamo camminato sino ad ora lasciano il posto a enormi massi che spuntano erratici nel paesaggio, lo disegnano e lo caratterizzano profondamente. Uno di essi è la Pietra Murata, un blocco allungato e piatto alla sommità, che sembra fatto apposta per fungere allo stesso tempo da punto di riferimento e da punto di controllo dei territorio. Da quassù, la costa si distende ai nostri piedi alternando promontori e calette, Pianosa sembra di vederla su una carta geografica e Montecristo disegna all’orizzonte il suo profilo misterioso e carico di promesse. Alla Pietra Murata sedettero a scrutare il mare vedette etrusche, a giudicare dai graffiti e dai resti di ceramica che vi sono stati rinvenuti, e vedette medievali, come indicano alcuni documenti d’archivio. Da qua si possono infatti avvistare senza difficoltà le navi in avvicinamento e comunicare tramite segnali luminosi le loro manovre. Da questo punto in poi, tuttavia, la montagna è il regno del pastore e della capra, e il terreno è disseminato di ricoveri e recinti. Poco sopra Pietra Murata si trovano i due caprili di Collaccio Basso e di Collaccio Alto, con le loro volte a filari progressivamente aggettanti di scaglie di pietra, e segni ancora recenti di fuochi accesi al loro interno.

Pietra Murata e il recinto di Collaccio Alto
Se ci voltiamo adesso verso la montagna, cercando con gli occhi il sentiero che dobbiamo seguire, scorgiamo in alto una struttura assurda e surreale: in cima ad un masso, apparentemente invalicabile se non dal passo di giganti, si staglia contro il cielo una piccola costruzione. Sicuramente quello è il Masso alla Quata. Continuiamo l’ascesa, in un vuoto che sa di sospensione del tempo, fino ad un ultimo caprile prima della meta, una vera e propria tholos in miniatura, che ripropone soluzioni architettoniche antichissime, uguali forse sin dall’età del Bronzo e diffuse ovunque nel Mediterraneo dalla Spagna, alla Croazia, alla Turchia, alla Palestina, e che parlano di un destino comune a tante esistenze, di solitudine e fatica.

Il caprile poco sotto il Masso alla Quata

Il Masso alla Quata
Ma eccoci nella radura appena ai piedi del Masso, che affrontiamo infine dalla parte posteriore, dopo aver avvistato degli animali selvatici, camosci o cervi, pascolare ai suoi piedi… Senza fatica, e ormai come volando per l’impazienza, raggiungiamo la cima dello sperone roccioso, da dove la vista spazia su tre lati dell’isola: si vede il mare a nord, a Portoferraio, si vede la costa orientale che prospetta la terraferma, e naturalmente tutta la costa a sud. Lontanissimo nel tempo e nello spazio il nostro punto di partenza, San Piero in Campo: e meraviglia quanto si possa percorrere a piedi in poche ore, superando quasi cinquecento metri di dislivello, senza preparazione e quasi senza pensarci, seguendo l’istinto e la voglia di scoperta, snocciolando i pensieri dietro ai passi, su per le rocce e nel silenzio della montagna.
Vengono a mente le parole di Rousseau riguardo al suo viaggio fra Parigi e Soleure: “Impiegai in quel viaggio una quindicina di giorni, che posso annoverare fra i più felici della mia vita. Ero giovane, in buona salute, avevo sufficiente denaro e molte aspettative, e viaggiavo… Viaggiavo a piedi e viaggiavo da solo. Mai ho pensato, ho vissuto, sono stato vivo e me stesso, come in quei viaggi che ho fatto a piedi e da solo…”

La vista dal Masso alla Quata