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14_Aldo Palazzeschi, “Sorelle Materassi”

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Sorelle MaterassiSanta Maria a Coverciano, 1918.

Firenze è lontana, non lambisce ancora con la sua espansione edilizia il paese sonnolento ai piedi di Settignano, fra l’Affrico e il Mensola. Nel loro appartatissimo nido, Teresa e Caterina Materassi conducono un’esistenza monotona fatta di ferrea disciplina e duro lavoro. Cucitrici in bianco e ricamatrici, le due sorelle sono riuscite a riscattare gli sperperi e le dissolutezza del padre, e a conquistare un posto rispettabile nella società: davanti al loro cancello stazionano ad ogni ora del giorno le auto delle signore del bel mondo, contesse marchese ereditiere, che si contendono le meraviglie di seta e taffettà che escono dalle loro mani.

Il prezzo da pagare è tuttavia la vita stessa, che hanno completamente sacrificato alla missione che si sono prefisse. Nel loro laboratorio esse sono altere regine, ma del mondo reale sono completamente estranee, cullate dalle loro ridicole ma commoventi fantasie di esperienze non vissute, di incontri mai avvenuti, di uomini inesistenti che non le hanno amate.

Il tranquillo scorrere della loro esistenza sempre uguale, cadenzata dal rumore del telaio, è interrotto soltanto in occasioni precise e strettamente codificate: la domenica pomeriggio, quando osservano il riposo per mezza giornata, che passano ad addobbarsi riesumando da vecchi armadi e cassettoni vestiti delle nonne e lustrini ormai irrimediabilmente fuori moda, la vendemmia, quando sono di malavoglia costrette a presiedere al rito collettivo del taglio dell’uva nel loro terreno, e per la festa di San Francesco a Fiesole.

La morte improvvisa della sorella Augusta, trasferitasi da giovane con il marito ad Ancora, dove conduce ora una squallida esistenza di vedova, fa piombare come un fulmine nella loro vita il nipote quattordicenne, Remo.

Fin dal primo ingresso di Remo nella storia, una sottile inquietudine si distende nell’incolore vita agreste sin a quel momento descritta nel romanzo.

Il ragazzo compare in piedi in mezzo alla camera della madre morente. Non piange. Non piangerà mai. Osserva. Spettatore impassibile in attesa di iniziare ad agire nel percorso della vita. Basta questo per indurre nel lettore un senso di pericolo imminente che non lo abbandonerà più.

Le zie pure fiutano il pericolo, ma il bellissimo giovinetto che porta la luce e la pienezza della vita nella loro casa le strega, le ammalia, le riduce in catene, succubi alla sua volontà. Irradia un fascino a cui quasi nessuno può sottrarsi: la vecchia Niobe, serva delle zie, è una delle prime vittime, ma ne seguono schiere innumerevoli, uomini e donne sembrano gareggiare per conquistare la sua amicizia, la sua considerazione, il suo amore. Ma amore Remo non ne prova, procede semplicemente e ineluttabilmente nel cammino che ha scelto: la vita è semplice è il suo motto, apparentemente innocuo, e senz’altro il denaro delle zie gli apre possibilità che, povero orfano, non aveva neppure immaginato.Remo

Quell’inquietudine, quel senso di pericolo imminente che Palazzeschi insinua nel lettore all’apparire di Remo piano piano si accresce, gonfia, dilaga: perché crescendo, il giovane alza sempre più la mira, le sue marachelle adolescenziali diventano presto veri peccati, bramosia di denaro, raggiri, mefistofeliche macchinazioni.

Remo, dietro la bella fronte, i capelli ondulati, la bocca perfetta in cui splendono i denti bianchi come un lampo di luce paradisiaca, è un demonio privo di sentimenti, di rimorso, di pudore. Le zie, le trascina nella rovina: i suoi piccoli debiti diventano progressivamente salati conti da pagare, spese che infine divengono insostenibili, in un crescendo teso e inesorabile. Quando i soldi non bastano più, le case e le terre vanno ipotecate.

Sola voce contraria, Giselda, la quarta sorella: Remo non la incanterà mai, lei che un matrimonio sbagliato ha gettato in una prigione di odio e risentimento verso tutti ma soprattutto verso i maschi. Remo non la incanta, ma sa volgere a proprio favore anche la sua ostilità, perché Teresa e Carolina in odio alla sorella sembrano impuntarsi a fare tutto il contrario di quello che consiglia.

Eppure, anche nel momento della rovina finale, non smettono di amarlo mai, nonostante tutto il male che sa procurare loro con un’indifferenza assoluta per i loro sentimenti. Venite a vedere le mie scimmie ammaestrate dice agli amici quando li invita a Coverciano a casa delle zie.

Bellissimo, non è una lettura indolore, Sorelle Materassi di Aldo Palazzeschi. Tutta l’amara ironia che può riservare la vita si rivela dietro il paravento di una scrittura piana, oggettuale, senza inutili voli, dietro una vicenda apparentemente banale nella Firenze di inizio Novecento. Ti avvinghia alle pagine, ti costringe a divorarle una dopo l’altra, in attesa dell’inevitabile crollo, che già si scorge all’orizzonte dopo il secondo capitolo, ma quando? Dopo quante umiliazioni, dopo quale altro durissimo colpo?SORELLE MATERASSI