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Cuccioli di cactus crescono – e stavolta non è un caso

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Come dicevo qualche tempo fa, cimentarmi nella semina mi ha sempre messo un po’ di agitazione: mi è sempre sembrato che per riuscire ci voglia un carico di pisseraggine che a me manca completamente, almeno in campo botanico. Se in altri casi posso passare ore a tarda notte a limare un testo, rileggendolo mille volte e valutando la posizione relativa delle virgole, mettermi lì a sterilizzare terreno, sciacquare ghiaino e spazzolare vasi non è proprio nelle mie corde. In realtà i tentativi che ho fatto in passato non sono andati proprio proprio a vuoto, ma ciò non è bastato a tranquillizzarmi. Poi, alcuni mesi fa ho ricevuto in regalo quattro bustine di semi di Astrophyta, un genere di cui posseggo alcuni esemplari – ma questi qua sono speciali forte! semi astrophytumAnche per questo (temendo di non riuscire) ho aspettato tanto a seminare, senza contare che come tutti ben sanno (e d’altronde è stato uno degli argomenti di conversazione principe negli ultimi mesi) ha fatto parecchio freddino e insomma non mi sembrava mai il momento giusto per azzardarmi.  Avverto i deboli di cuore che le foto fanno schifo, ma sul mio terrazzo quando batte il sole fanno un numero imprecisato e imbarazzante di gradi Farenheit, quindi l’operazione doveva svolgersi entro un tempo limite sufficiente a preservare la mia attività neuronale. E potevi metterti un cappello? Già ce l’ho (foto col mio fido scudiero) e non mi è bastato vabbene? E potevi aspettare un giorno con meno sole? No, le cose semplici non mi piacciono vabbene? Insomma faceva un caldo boia e il sudore mi colava sulle piume impedendomi di concentrarmi sulle riprese fotografiche.

Nonostante ciò ho eseguito tutte le operazioni preliminari alla semina vera e propria con grande solerzia, affinchè non ci fossero intoppi: innanzitutto ho preparato il terreno mescolando in parti uguali un terriccio per cactacee con uno splendido ghiaino che ho preso in un negozio di articoli per animali. La scena è stata pressappoco la seguente: entro nel negozio con fare circospetto, guardandomi alle spalle e intorno (accidenti ci sono già altri clienti! m….), vado dal commesso e esalo in un sussurro da cospiratore “scusi mi servirebbe del ghiaino da acquario, ah e anche della sabbia da acquario“. Il commesso dapprima non sente proprio, poi afferra e chiedendosi evidentemente dove sia il terribile segreto che non è possibile rivelare ad altri manco fosse la rivelazione di Fatima fa “seeeeeee…” Al che chinando gli occhi a terra con aria colpevole confesso “guardi che mi serve per un uso improprio. Mi serve per seminare dei cactus“. Il commesso non fa una piega, mi mostra tutto il campionario di ghiaini e sabbiette (in verità notevole), io abbastanza tranquillizzato scelgo e ci avviamo alla cassa. A quel punto, praticamente urlando fa “e comunque guardi che qua a me mi hanno chiesto di tutto, tipo la copertina riscaldata del cane per far fermentare la birra artigianale, la lettiera del gatto per riempire cuscini… insomma stia tranquilla, un l’è strana come pensa, lei!” Tutti si girano nel negozio, io mi carico del ghiaino e mi avvio rassicurato della mia sanità mentale.

Tutto ciò per dire che la cosa del ghiaino da acquario mi risolve alla grande il problema degli inerti, mentre la sabbietta messa sopra sopra evita che il terreno si trasformi in una crosta stalagmitica e muffosa capace di eliminare qualsiasi forma di vita. Naturalmente la pensata non è mia, ma di Glauco, che se ne intende molto più di me oltre ad essere il mittente dei semini [se mi leggi non me ne volere]!semina 2013 bComunque una volta preparato il terreno ho preso due vaschette, praticato sul fondo dei buchetti con del fil di ferro -a rischio della mano- e posizionato sul fondo stesso un po’ di argilla espansa. Poi terreno, sabbietta (mammamia sembra uno scavo didattico, che meraviglia!), e ho messo la vaschetta in una vaschetta più grande piena d’acqua, finchè il terreno non è risultato bagnato per capillarità. Infine con una pinza da laboratorio ho posizionato i semini in fila come soldatini sulla sabbia, sistemato i cartellini in corrispondenza dei semi, e coperto la vaschetta con della pellicola traspartente.semina 2013 c

Adesso non restava che aspettare! Ed ecco qua il risultato: dopo nemmeno una settimana i semi hanno germogliato, e ora stanno crescendo. Certo non mi ritengo fuori pericolo, però promettono molto bene (la foto è sfocata abbestia, vabbè. E’ per preservare l’alone di mistero)!semina 2013 germogli

Un microcosmo cactaceo

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microcosmo cactaceoUltimamente vivo in ritardo: mille progetti, mille cose da fare e da portare a termine…

Per questo non ho ancora ringraziato a sufficienza la mia amica Fancyhollow, che non si smentisce mai e che per il mio compleanno mi ha regalato nientepopodimenoche… un microcosmo cactaceo!

Ecco nella foto lo scatolino (già delizioso di per sè) che conteneva tutto il necessario per produrlo, ed il suo contenuto! Innanzitutto il globo in vetro, con la base appiattita in modo da non rotolare rovinosamente a terra, e con un’imboccatura che permette di creare all’interno il microclima ideale per far crescere dei cuccioli spinosi… A seguire, quella che vedete a destra non è una megaspirina per febbri tropicali, ma una zolletta di terra compattata con uno schiacciasassi, che basta reidratare con un po’ d’acqua e sbriciolare con le mani per ottenere circa un metro cubo di ottimo terriccio: avete presente come quegli asciugamanini grandi come una moneta da due euro e che poi a bagnarli diventano un telo da spiaggia? Uguale! Peccato che per compiere questa banale operazione io abbia prodotto una enorme quantità di sporcizia in casa e riempito le ciabatte di terra! Vabbè soprassediamo… Fatto ciò ci sono i semini da deporre sul terriccio e da coprire con la sabbiettina chiara che si trova nel sacchettino a destra!

Il contrasto all’interno del globo è davvero bello! Adesso vediamo quanto ci mettono a nascere…

Nascita di una pianta

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Non è un mistero che la principale preoccupazione di ogni forma vivente sia quella di riprodursi e propagarsi e, potendo, conquistare il mondo intero. Logico che più meccanismi si hanno a disposizione, più elevate saranno le probabilità di riuscita. Le piante, per l’appunto, possono riprodursi sia per via sessuata, ossia per seme, sia per via asessuata, ossia per talee di vario tipo. Si possono realizzare talee di fusto, di foglia e addirittura di frutto. La differenza sta nel fatto che per via sessuata si otterranno individui con un patrimonio genetico diverso da quello dei genitori (e qui sta tutto (?) il gusto di questa strategia evolutiva, in quanto i cambiamenti genetici consentono l’evoluzione della specie) mentre con la riproduzione asessuata si ottengono individui del tutto identici alla pianta madre.
Ma bando alle ciance! Ecco cosa accade a fare una talea di foglia. Il procedimento è veramente lungo e complesso e presenta notevoli difficoltà. Nel caso di cui si presenta la diapositiva, si prende una foglia di Pachyphytum oviferum che si è accidentalmente staccata dal fusto, la si appoggia con attenzione e grande maestria in un vaso con un po’ di terra e si aspetta. Nel giro di pochi giorni, si vedranno dapprima spuntare dei filamenti dal punto di congiunzione della foglia con il fusto, dopodiché nel medesimo punto si vedrà spuntare la nuova pianta vera e propria. In questa fase, non è essenziale annaffiare molto la pianta, perché la foglia (che in seguito si seccherà e morirà) contiene il nutrimento necessario per lo sviluppo. Certo che io un po’ di acqua la prodigo ogni tanto… Come si vede l’operazione è di elevato livello scientifico e non alla portata di tutti! In bocca al lupo a tutti i propagatori di succulente: sappiate che le piante grasse conquisteranno il mondo e sarà anche colpa vostra (mia di sicuro)!!!

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Una saga familiare (con note di coltivazione)

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Dopo aver esaminato la cronistoria dell’Opuntia microdasys ondulata nell’ultimo anno, vediamo cosa è stato della paletta che si era staccata prima di giungere a casa. Si tratta di una vera e propria saga familiare, e presto Beautiful sarà niente al confronto. Ci saranno naturalmente matrimoni fra consanguinei, rivelazioni sconvolgenti e ritorni alla vita nel migliore stile del genere!

Ho trattato l’articolo come una qualsiasi talea di fusto, appoggiandolo in un vasetto ed interrando leggermente la parte corrispondente all’attaccatura con la pianta madre. Questo accadeva lo scorso anno in agosto, e per tutto l’autunno non è successo nulla, anche se avevo l’impressione che le radici fossero spuntate molto presto: provando a toccarla leggermente si sentiva che aveva fatto presa nel terreno. In inverno poi la pianta è andata in riposo vegetativo. Con l’arrivo della primavera la talea si è potuta dire davvero radicata: infatti sulla parte superiore sono nate due palette, che a loro volta hanno prodotto nuove palette.

Ho deciso che nella mia collezione, quando una talea fiorisce o getta nuovi articoli è promossa automaticamente a pianta. A questo punto ha diritto ad un vasetto tutto per sè, nel caso in cui, come faccio frequentemente, avessi deciso di mettere più talee nello stesso vaso per risparmiare un po’ di spazio in attesa di verificare il risultato dell’operazione. Non è tuttavia questo il momento di procedere al rinvaso: in genere, e se non ci sono motivi cogenti che mettano a rischio la pianta (ad esempio nel caso di attacco parassitario, o se si vede che la composta non drena bene o comunque non sembra adatta) è bene compierlo al termine del riposo invernale, verso febbraio-marzo. Non vedo l’ora!

La talea di frutto è una realtà

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Lo scorso anno in Grecia avevo preso un frutto di una piccola Opuntia nana che adornava un tabernacolo campestre di una zona sperduta del Mani. A casa, ne avevo estratto i semi, ed avevo provato a seminarli. Avevo letto da qualche parte in Internet che i semi delle Opuntie hanno una superficie particolarmente dura, e perciò dovrebbero essere sottoposti a scarificazione, ovvero ad un trattamento che serve ad ammorbidire il seme e permettergli di germogliare, e che si può effetture in diversi modi più o meno cruenti, che vanno dall’ammollo in acqua calda  fino al bagno in acidi vari. Inutile dire che non ho effettuato nessuno di questi trattamenti, fedele ad un concetto di giardinaggio a impatto zero (?), e infatti non è nato proprio niente!

Lo scorso maggio in Sicilia ho preso un altro frutto del tutto identico a quello che avevo trovato in Grecia: non so a che specie del genere Opuntia appartenga, ma mi piace molto il suo colore rosso-viola. Avevo letto, sempre da qualche parte che non ricordo, che oltre alla talea di foglia e alla talea di fusto esiste anche la talea di frutto! Cioè, come dire che io compro una mela, la metto per terra e diventa un melo… Sì, avete capito bene! Ora, non credo che funzioni proprio proprio per tutti i frutti… Comunque io ho provato a mettere in un vasetto il frutto con l’attaccatura verso il basso inserita nella terra: ed ecco il risultato! Non solo in questi due mesi il frutto non si è ammosciato e non è marcito, ma accanto ad esso sta spuntando una paletta che ha tutti i crismi per essere una futura Opuntia! Vi assicuro che è spuntata veramente dal frutto: se si prova a muoverlo delicatamente, la paletta si muove insieme con lui. E per rassicurarvi su questo fatto, si vede chiaramente nella seconda foto che sta per spuntare una seconda paletta, accanto alla prima, proprio dalla superficie del frutto…

Da talea a pianta 4: Echinopsis chamacereus (ex Chamacereus silvestrii)

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Quando ho ricevuto in regalo questa piantina era solo un piccolo fusto singolo senza radici, che ho appoggiato in un vaso di terracotta; vedendolo adagiarsi a terra e poi spenzolare tristemente dall’orlo del vaso non nutrivo, a dire il vero, gloriose aspettative sul suo futuro nella mia collezione. Invece, cara la mia ignoranza, la pianta ha proprio un portamento strisciante/pendente: insomma va tutto bene, è tutto normale. La riprova è stata che a giugno è spuntata una gemma pelosetta alla base del fusto, che si è poi schiusa in un bel fiore rosso fuoco, molto simile a quello dell’Echinopsis per forma e disposizione dei petali. In effetti (parentesi erudita) questa pianta, dapprima classificata in un genere a parte, è oggi attribuita al genere Echinopsis (specie chamacereus): ma io mi sono affezionato al vecchio nome, e continuo a chiamarla così – che cambiereste voi il nome al vostro cane solo perchè avete scoperto che è un boxer invece che un volpino?!

Dopo la fioritura hanno iniziato a spuntare, sempre alla base del fusto, alcuni polloni: dapprima erano solo delle testine bianche, ma poi sono cresciute, ed alcune hanno iniziato ad avvitarsi sul proprio asse, cosicchè le costolature con le areole adesso formano una sorta di spirale dall’effetto piuttosto curioso.

Ecco come si presenta oggi. Se il terreno rimane molto secco, ho notato che il fusto principale tende a ricadere e ad afflosciarsi, mentre si riprende dopo essere stato annaffiato. Nel vaso di coccio la terra tende a seccare molto prima rispetto ai vasi di plastica: devo dire che dal punto di vista estetico mi piacciono molto di più i vesetti in ceramica, ma vista l’esposizione del mio terrazzo mi sembra che stiano sempre meglio le piante che hanno il vaso in plastica. Quindi, ho deciso di tenere il Chamacereus in una zona un pochino ombreggiata, in modo che non si becchi quelle 8/10 ore di sole diretto che si beccano la maggior parte delle mie succulente (soprattutto i cactus).

Una sosta, una riparazione e un regalo inaspettato

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Durante i miei giorni di vacanza della scorsa settimana sono stato a trovare alcune amiche a Casciana Terme, e durante il viaggio di ritorno ho dovuto fare una sosta imprevista presso un elettrauto, perchè uno dei fanali dell’auto si era fulminato. Come in tutti i paesi, il tipo si è dapprima intrattenuto per improrogabili chiacchiere con alcuni compaesani, poi ha dovuto accompagnare un omino a fare un’indifferibile commissione da una parte (immagino prendere un caffè), poi aveva da ridire con la signora dell’ufficio amministrativo… insomma c’è stato da aspettare un po’ prima di avere indietro la macchina con il fanalino funzionante…

Per fortuna, sul muretto di recinzione dell’officina c’erano alcuni vasi di cactus. Mi sono avvicinato quatto quatto: si trattava di cinque bellissime Echinopsis, simili a quella che possiedo e che ha prodotto sinora due fantastici fiori rosa (e altri due stanno per sbocciare). Queste piante, però, erano davvero notevoli per dimensioni e molto accestite. Mentre stavo lì a cingillarmi, è uscita una signora dalla casa accanto e le ho attaccato una pezza di congrue dimensioni sui suoi cactus (giuro, senza intenzione alcuna di ottenerne un beneficio!). E come in ogni paese che si rispetti, la signora in quanto a pezze era molto competitiva, ed è andata a finire che l’elettrauto ha terminato il lavoro e ce lo siamo trovato accanto che batteva il piedino… Insomma però, la signora al termine della conversazione ha tirato fuori la chiave di casa, ha staccato alcuni polloni (rabbrividiscano i puristi, che disinfettano il bisturi per staccare il virgulto!) e me li ha regalati.

Eccoli qui. Ho preparato un vasetto per ciascun pollone, con un terreno molto sciolto, composto da terriccio per cactacee, ghiaia fine e molto lapillo, e vi hosemplicemente appoggiato sopra le piantine. Credo che radicheranno in fretta… Vediamo quando inizieranno a fiorire!

Baby palette sotto la canicola

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Fa un caldo boia in questi giorni, a Firenze. Guardo il mio terrazzo esposto a sud sotto la canicola e ringrazio che mi sia venuta la fissa per le piante che occupano gli habitat più torridi dal Messico al Sud Africa passando per la Bolivia ed il Perù invece che per le conifere e le altre piante tipiche della Groenlandia. A momenti temo di veder esplodere qualche cactus, o ritrovarlo bollito, o autocombusto, e altri scenari splatter di tal fatta.

Ecco un aggiornamento alla volè sulla crescita del fico d’india preso a Castiglioncello ad aprile. Confrontando le immagini con quelle di una settimana fa, si può vedere che le palette adesso sono perfettamente formate, e conservano ancora le foglie appuntite che scompariranno presto con la crescita della pianta. Sono fiero della riuscita di questa talea, e curioso di vedere se ne spunteranno altre a breve!

I sassi viventi (ma più zampe di elefante): Lithops

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Lo scorso anno ad agosto, durante uno dei miei primi acquisti (il terzo, e ufficialmente il primo acquisto compulsivo), ho comprato tutte insieme ben 16 piantine diversissime fra di loro, dal Gymnocalicium baldianum di cui ho già parlato, a diverse Opuntie ed Euphorbie (coming soon). Il set che ho composto comprendeva anche due Lithops, della medesima imponderabile specie. Questo genere, originario dell’Africa meridionale, è facilmente riconoscibile (ma lo stesso non si può dire delle diverse specie in esso raggruppate) dalla forma caratteristica, da cui deriva il nome (dal greco lithos=pietra e opsis=aspetto: non so perchè, a me ricordano piuttosto delle zampe di elefante): il fusto si trova in genere sotto la superficie dal terreno, da cui emergono invece due foglie accoppiate per ciascun esemplare. Le foglie hanno una superficie superiore piana di forma semiovale, piuttosto scabra al tatto e fornita di “finestre” funzionali alla fotosintesi clorofilliana, mentre la parte inferiore si sviluppa come una sorta di cono con la punta rivolta verso il basso. Al momento della fioritura, dalla fessura fra le due foglie fuoriesce dapprima una linguetta, che poi diventa il fiore: nel mio caso sono emersi ben presto due fiori di un giallo brillante, con petali lunghi e sottili.

Al termine della fioritura, la fessura fra le due foglie ha iniziato ad aprirsi, e da lì sono emersi due nuovi esemplari per ogni pianta, mentre le vecchie foglie si seccavano piano piano, e regredivano fino a scomparire. Ecco la foto della trasformazione compiuta: l’esemplare che già possedevo è a destra, mentre a sinistra c’è un nuovo vasetto con diversi Lithops di specie diverse, che ho acquistato all’inizio di aprile mentre già erano in metamorfosi. E’ inquietante, lo so, a tratti orripilante. Queste foglie carnose che si aprono e ne fanno fuoriuscire altre, voglio dire. Se comprate un Lithops, sapevatelo: vi troverete in casa un mutante. Un alieno.

In tutto ciò, i vasetti in cui le piante erano contenute iniziavano a farsi piccini rispetto alle dimensioni dei mostri. Tuttavia, ero molto combattuto: avrei voluto trapiantare i Lithops per farli stare meglio, visto che iniziavano a dare veramente segni di insofferenza. D’altra parte, l’operazione, già abbastanza rischiosa di per sè (e di piantine ne ho già perse per trapianti sbagliati), mi sembrava particolarmente perigliosa in piena fase vegetativa. Alla fine è stata necessaria una decisione salomonica di fronte all’imminente catastrofe: infatti, alcune delle vecchie invece di seccare stavano marcendo, contagiando anche le nuove foglie in formazione. Trapianto d’urgenza, o bene bene o male male. E così è stato: ho scelto una bella ciotola capiente in cui ho sistemato tutti i Lithops in mio possesso, in modo che basti anche per future metamorfosi. Ho approfittato per dare maggior spazio anche a due minuscoli Lithops che erano nati (probabilmente da qualche seme rimasto nella terra al vivaio) nel primo vasetto: si intravedono sulla destra. Speriamo bene!

Da talea a pianta 3: un fico d’India da Castiglioncello

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Lo scorso 22 aprile, in una delle poche (sinora) giornate di bel tempo di questa primavera, ho passato una giornata a Castiglioncello, passeggiando in pineta e percorrendo poi tutto il lungomare fino a Caletta. Tutte le estati della mia infanzia le ho passate a Castiglioncello, e per questo motivo ogni angolo mi è caro, dal Castello Pasquini dove ho visto il mio primo balletto, al minigolf, al passaggio a livello dove si andava a vedere passare il treno. L’odore della pineta è come la madeleine di Proust, e ogni svolta del lungomare rievoca ricordi.

Durante la passeggiata sul mare, ho notato una pianta di fico d’India, a cui si era staccata una paletta. Le palette delle Opuntie sono molto delicate, e spesso basta un tocco inavvertito per farle cadere. Sinora avevo acquistato un paio di piccole Opuntie nane (Opuntia microdays velour e Opuntia microdays ondulata) e due Opuntie crestate (Opuntia cilindrica crestata e Opuntia vestita crestata), ma non ero mai stata attratta dalle specie grandi, anche per una questione di opportunità: come trovare spazio nel mio terrazzo nel caso di un clamoroso successo di coltivazione? Però vedere la paletta a terra mi dispiaceva, e quindi l’ho presa e messa in un vasetto.

Se ci fosse bisogno di un ulteriore elemento per dimostrare la straordinaria vitalità delle piante grasse, eccolo! Non sono passati neppure due mesi, e la talea sembra aver già radicato: infatti da due delle areole iniziano a spuntare due nuove palette, che in termine tecnico chiameremo cladodi. Nelle piante appartenenti al genere Opuntia, i rami si sono trasformati sostanzialmente nelle palette (ed in effetti negli esemplari maturi lignificano costituendo il tronco vero e proprio), mentre le foglie sono presenti solo sulle palette più giovani, hanno la forma di linguette cilindriche (è possibile vederne nella foto in basso a destra), e scompaiono precocemente.