In cammino, 7. Da Navarrete a Santo Domingo de la Calzada

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04.07.2016

Al momento di lasciare Logroño, Laura ed io ci siamo sedute sotto l’ultimo albero prima che il Cammino si tuffasse di nuovo fra i campi gialli e assolati, abbiamo tolto calzature e calzini e assaporato un po’ l’aria falsamente fresca e il ristoro dell’ombra, ridendo fra noi senza un motivo preciso. Allegria di naufragi?

Forse attratto da quel riso insulso, un signore canuto, asciutto e lucente come una statua di bronzo, si è avvicinato e ci ha fatto quelle solite domande che tutti ci fanno e che tutti ci facciamo a vicenda, da dove siete partite, ieri dove avete dormito, stasera dove andrete. Ci ha consigliato di fermarci a Santo Domingo de La Calzada e alla Confradía del Santo, dove dice di essere stato hospitalero per qualche settimana. Santo Domingo sembrava davvero lontana un giorno fa, e non ci abbiamo più pensato.

Ripartendo da Navarrete, percorriamo di prima mattina insieme la strada fino a Nájera, dove ci fermiamo per la seconda o terza colazione del giorno, a base di tortilla di patate e caffè. Ormai abbiamo costituito un quartetto di toscani, noi due, Francesco e Letizia, che si distende e si sfilaccia sul sentiero durante il giorno ma si ricompone immancabilmente alla sera. Prima di separarci di nuovo, decidiamo di ritrovarci proprio a Santo Domingo e alla Confradía, la giornata è coperta e non troppo calda, abbiamo già percorso 16 chilometri e sembra possibile farne in tranquillità altri 22, prima di sera. Allunghiamo così progressivamente le tappe, mano a mano che ci sentiamo più sicuri delle nostre gambe e che il percorso si appiana sui fondovalle e le dolci colline della Rioja.

Così, arrivando a Santo Domingo, avremo percorso in sette giorni nove tappe “classiche”, secondo la guida. Inizio a pensare che, nel tempo a disposizione, posso arrivare fino a León. Dopo Pamplona ho sostituito le scarpe, che sono un po’ piccole, con i sandali, indossati sempre ed elegantemente con i calzini, e il ginocchio non fa più male, ma continuo ad accompagnare la colazione con l’Ibuprofene 500, perché si vive una volta sola e perché non si sa mai.

E così ci tuffiamo in quei 22 chilometri che sono un assaggio della meseta, il Cammino è qui una strada bianca che punta a ovest diretta come un fulmine, senza svolte, distendendosi a perdita d’occhio sulle colline. Segui il nastro fino al sommo della prossima, e poi di nuovo giù e di nuovo su, di nuovo giù e di nuovo su. Già, 22 chilometri: calcoliamo poco meno di 5 ore di cammino. Di nuovo su, di nuovo giù. La testa si svuota definitivamente, forse solo così riesci ad andare avanti, di nuovo su, di nuovo giù. Laura e Letizia si perdono indietro, quando avvistiamo il paese sono le cinque del pomeriggio e probabilmente manca ancora un’ora. Di nuovo su, di nuovo giù. Inizia a piovere, poche gocce grosse e caldissime da cui non ci curiamo di ripararci.

Nell’ingresso dell’albergue, una scrivania di legno scuro a cui siede l’hospitalero con il suo registro, davanti due sedie e accanto un divanetto esausto di pelle, in cui Francesco ed io ci lasciamo affondare, mentre aspettiamo che la signora prima di noi finisca l’accettazione.

Si gira e ci guarda, sorridendo. Where are you coming from, today? La stessa domanda che tutti ci fanno, che tutti ci facciamo. Io e Francesco ci guardiamo. France, da dove siamo partiti stamani? Silenzio. Continuiamo a guardarci attoniti. In quel vuoto della mente, io non me lo ricordo proprio. Alzandosi dalla sedia, la signora si avvicina e mi abbraccia forte. It doesn’t matter, you’ve done it! Ride e ci lascia il posto.

Noi, ancora non ci ricordiamo da dove veniamo.

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