La seconda volta [In Cappadocia, il respiro dell’alba]

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Palloni aerostatici in CappadociaPoco prima dell’alba, quando i nuovi raggi del sole spazzano via le ombre rincorrendole in fretta giù lungo i declivi, un brulichio occulto attraversa le valli della Cappadocia: enormi autotreni si inerpicano sui crinali, per raggiungerne i punti più elevati e propizi. Di giorno si nascondono, esseri notturni e schivi, e li trovi addormentati come draghi nelle pieghe confuse di agglomerati pseudourbani ormai estesi a livello incontrollabile, ma al mattino si destano per svolgere pazientemente il compito loro affidato, trasportando i palloni aerostatici alle basi di lancio e dar vita a quello spettacolo-Cappadocia, in vendita a presso ormai relativamente accessibile a tutti gli angoli di strada.

I palloni, con il tramestio che comporta il loro solo apparentemente etereo innalzarsi in aria, hanno cacciato i piccioni che risiedevano stabilmente nelle valli. È la prima cosa che ci racconta il proprietario dell’alberghetto, quando arriviamo stanchi da una camminata infinita nella Valle di Ihlara e vorremmo solo salire e fare una doccia. E invece ci fa sedere, ci fa il tè, e ripete come una nenia ossessiva la storia dei piccioni, e del prezzo del benessere.

Eppure, se ti svegli per tempo, quando il cielo da pervinca si fa rosa e poi rifulge di energia, sembra che tutto si svolga in un silenzio lirico e irreale. Sembra quasi che questo insensato rituale sia una costante del paesaggio. Apparenza.

Ma il silenzio è davvero totale, senza vento. In mezzo alle guglie appuntite, animati dal respiro caldo e costante del fuoco, lentamente i palloni si scuotono dal sonno, tremano un po’ ma si dispiegano infine donandosi fiduciosi all’aria. Balleranno dolcemente su e giù con grazia stanca per il breve volgere di un’ora. Fa freddo sulla terrazza mentre i galli cantano in lontananza, ma l’abbraccio in cui sembra di stare sprofondati è troppo magico per riuscire a staccarsene.

Eppure, siamo della razza che rimane a terra, contenti di osservare le piroette altrui, in cerca di altre forme di poesia.

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Fotografie di Janos Agresti©

 

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