Per me le orchidee sono sempre state dei fiori enormi e pazzeschi, eleganti, raffinati, e avvezzi sicuramente al lusso della vita di città, dove sono solite abitare appartamenti e negozi. Certo, un qualche dubbio avrebbero dovuto farmelo venire le loro bocche spalancate dai colori sgargianti, che racchiudono un cuore carnoso e segreto.
Ho scoperto solo qualche giorno fa, passeggiando sui sentieri dell’Isola d’Elba, che in realtà le orchidee vere, le orchidee selvatiche, hanno fiori minuti, quasi invisibili in mezzo al verde dei campi, talvolta sì delicati e aerei, ma talvolta terribili e irsuti come insetti, incredibilmente in bilico fra il mondo vegetale e quello animale. I sentieri delle orchidee selvatiche si snodano nella parte sud-orientale dell’isola, fra la cittadina di Capoliveri e la costa che si affaccia verso la terraferma toscana, lambendo i fianchi del Monte Calamita con le sue miniere di ferro. Si tratta di percorsi ben segnalati sulle mappe in distribuzione sull’isola, che fanno parte della rete escursionistica del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, e che si possono affrontare anche senza una preparazione specifica, o nel perfetto stile “turisti-fai-da-te” che ci contraddistingue ormai dal nostro viaggio in Turchia, e da cui non abbiamo intenzione di discostarci. D’altra parte, siamo o non siamo riusciti a prendere miracolosamente un traghetto due ore prima di quello che abbiamo prenotato, salendo sul primo che ci capita a tiro nel porto di Piombino? Scegliamo dunque un sentiero che si diparte dietro la Spiaggia dell’Innamorata, a sud di Capoliveri, in vista del mare azzurro e degli isolotti Gemini, in un calda mattinata del week-end di Pasqua.
Non è difficile trovare le orchidee, perché ce ne sono tantissime: a meno di non andar cercando quelle grandi orchidee da salotto, perché così non le scovereste mai: è necessario infatti inerpicarsi sui pendii, ma soprattutto strisciare faccia a terra con gli occhi sul terreno, per scovarle nascoste fra il turbinio viola, bianco e rosa degli innocenti fiori di campo. Perché innocenti non sono, queste orchidee, soprattutto la prima che incontriamo, Ophris incubacea: i tre sepali superiori sono verde chiaro appena bordato di scuro, e quasi scompaiono in mezzo all’erba, ma dei tre petali inferiori quello centrale, rigonfio e ricoperto di peluria, si è sviluppato in modo da imitare perfettamente l’addome della femmina di un insetto impollinatore, e attirare così i maschi sul fiore. Ogni specie del genere Ophris si è specializzata ad ingannare uno specifico insetto: la nostra orchidea attira la forse ignara Andrena morio, una grande ape solitaria. Non si può forse dire bella in senso assoluto, questa Ophris, ma è affascinante come solo un prodigio della natura sa essere: una pianta pronta in realtà a dispiegare le ali e a spiccare il volo, ali forse nascoste in quel petalo metamorfico dal colore rosso-bruno e segnato al centro da una vistosa macchia viola.
Molto più rassicurante è l’aspetto delle diverse orchidee appartenenti al genere Serapias, che sono invece raccolte in fitti grappoli di calici appena dischiusi, dalla terminazione inferiore allungata e morbidamente ricadente come la manica del costume di una dama medievale. Al posto della ispida peluria e dei colori violenti delle Ophris, queste orchidee hanno corolle vellutate declinate nel bianco e nelle diverse tonalità, sempre delicate, del rosa e del viola.
E’ incredibile la quantità di specie che si possono osservare, in cui naturalmente non mi raccapezzo: ogni angolo riserva una qualche sorpresa, che sia un nuovo fiore ancora non avvistato, i dettagli che si notano osservando le piante da vicino, la loro peluria costellata di granuli di polline, il contrasto offerto dal colore dei petali con il verde fresco dell’erba, la complessità delle loro strutture e l’apparente indifferenza con cui affrontano il volgere del giorno.
Le più diffuse in assoluto sono le diverse specie di Anacamptis, alcune davvero minuscole e distribuite in infiorescenze piramidali, altre più vistose per dimensioni e colori, che punteggiano i campi con i loro petali in due diverse tonalità del rosa.
E’ inutile che lo dica, vero? I fiori e le piante si cercano, si osservano, si fotografano, si guardano per ore incantati come abbiamo fatto noi sul Monte Calamita, ma non si toccano, mai! Reciderli per portarli a casa è un gesto assolutamente stupido e inutile: se vogliamo una pianta in caso andiamo dal fioraio, mi raccomando…
sei un narratore nato!
😊
E’ sempre una gioia leggere i tuoi articoli. Bravissima! Belle anche le foto.
Grazie! Come sempre il merito è dei soggetti, che sono meravigliosi! Un bacio
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