Scoprire l’intruso nel Giardino del Museo Archeologico di Firenze

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Non sono poche le meraviglie, botaniche e non, custodite dal Giardino del Museo Archeologico di Firenze: un tesoro di natura e storia nel cuore della città, che è possibile ammirare tutti i giorni infilando agilmente il naso nell’inferriata che borda il tratto di via della Colonna più vicino a piazza Santissima Annunziata, oppure in modo decisamente più consono il sabato mattina, quando – a meno che non ostino particolari problemi tecnici o meteorologici – è aperto al pubblico.

Si potrà allora passeggiare per i vialetti ripercorrendo le diverse tappe dello sviluppo dell’architettura etrusca nel tempo, dalle tombe a pozzetto villanoviane alle sepolture a camera di epoca ellenistica, e nello spazio, con esempi monumentali provenienti da Veio, Tarquinia, Orvieto, Volterra. Personalmente, amo molto la ricostruzione della Tomba Inghirami di Volterra: trovo sempre commovente lo spettacolo offerto da questo straordinario complesso, con le urne cinerarie dei membri di un’unica famiglia deposte all’interno della sepoltura nell’arco di tre secoli, corrispondenti a ben sei generazioni, che sembrano riuniti in un simposio eterno. E ancora di più amo la scabrosità della pietra vulcanica accarezzata dal tramonto delle due tombe provenienti dalla necropoli del Crocefisso del Tufo di Orvieto, ricoperte da una morbida cascata di edera e di capperi.Giardino museo archeologico (6) (Medium)

Giardino Museo Archeologico (1)Unici elementi “fissi” di questo singolare frammento di paesaggio urbano, le tombe sono immerse nel flusso continuo delle stagioni: alla superficie ghiacciata della grande vasca in inverno succedono le fioriture primaverili, all’aria stanca e sospesa dell’estate i dolci colori autunnali. Le architetture restano lì immobili, a farsi accarezzare del trascorrere del tempo, accogliendo ogni mese che passa e congedandolo al suo volgere, e accettano incessantemente questa rivoluzione continua e silenziosa.

Lo scorso anno ho fotografato compulsivamente la fioritura delle magnolie, che riempiva le fronde ma si distendeva anche ai piedi degli alberi, formando un immenso tappeto specchio nei toni del rosa e del bianco. I petali carnosi adagiati nell’erba fresca sembravano chiamarti a togliere le scarpe e camminare a piedi nudi su questo pavimento intarsiato e prezioso.Giardino Museo Archeologico (2)

Questa primavera mi hanno incantato le pansè, un fiore che non ho mai amato particolarmente a dire la verità, con quei petali troppo delicati e facili a stropicciarsi, ma forse solo perchè non l’ho mai osservato bene prima. Chi l’ha inventate era un genio: perchè ci vuole veramente del genio per accostare così il viola e il giallo, il bordeaux ed il bruno, il rosa e il cremisi, e farli digradare rapidamente ma insensibilmente l’uno nell’altro.Giardino museo archeologico (2) (Medium) Giardino museo archeologico (3) (Medium) Giardino museo archeologico (4) (Medium)Poi è stato il momento delle azalee, coltivate in grandi conche di terracotta, degli iris, che inalberano orgogliosamente i loro vessilli nelle bordure lungo il muro, delle rose antiche che ancora in questi giorni profumano di dolci note agrumate.Giardino museo archeologico (5) (Medium)In mezzo a questo incessante tripudio di piante, scelte in genere fra quelle proprie della tradizione medicea e fiorentina, forse pochi notano quello che considero un vero e proprio intruso: un canutissimo Cereus peruvianus v. monstruosus, dalle dimensioni davvero ragguardevoli, soprattutto considerando il fatto che non è coltivato in terra, come si potrebbe anche fare visto che ci troviamo in un giardino, ma in una piccola conca, fra il muro del Museo Topografico e la camera funeraria del Tumulo del Diavolino di Vetulonia. Narra la leggenda che sia stata portata qua, già non piccolissima, da un qualche custode, in un momento di cui non si conserva memoria.

Sono anni che osservo discretamente questa pianta, talvolta con una certa apprensione. La parte terminale del fusto ha sofferto già in passato per qualche gelata, e si presenta in più punti annerita, come se fosse bruciata: ma è una pianta dalla pelle dura, una vera guerriera, un’amazzone, che non riceve altra acqua in estate che quella delle piogge, e che rimane sottoposta alle intemperie d’inverno: non si potrebbe fare diversamente, viste le dimensioni e la posizione in cui si trova.

Se la cava egregiamente, a dire il vero. Tuttavia, negli ultimi tre anni non era mai fiorita. Lo ha fatto una notte di quest’ultimo agosto, e ho avuto la fortuna di scoprire il fiore subito la mattina successiva, visto durano davvero pochissimo: un immenso fiore bianco, dai petali leggermente frangiati, che si sviluppa da un lungo imbuto verde. In questo modo, il centro della corolla diventa il punto più affascinante del fiore, con il suo colore fresco e mattutino, circondato da un fascio di stami bianchi carichi di polline, su cui gli insetti erano già al lavoro alle sette del mattino. Ora che ho avuto la soddisfazione di vederlo in fiore, mi resta solo la curiosità di sapere di più sulla storia di questo Cereus, perchè immagino che deve averne viste di cose… Da dove viene? Chi l’ha portato qui e quando? Chissà che prima o poi non trovi le risposte a queste domande…
Cereus peruvianus 1 (Medium)
Cereus peruvianus 2 (Medium) Cereus peruvianus 3 (Medium) Cereus peruvianus 4 (Medium)

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  1. Pingback: La caccia all’intruso continua | 12mq

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