Negli ultimi dieci anni ho viaggiato diverse volte in Sicilia, finendo per conoscerla un po’ tutta, quanto almeno si può conoscere senza viverci una terra così varia e multiforme. Fra le tante città che ho visitato, Catania è forse la più bella: la misteriosa vicinanza del Duomo con la Pescheria, il mercato del pesce, divisi da una fontana che nasconde un fiume sotterraneo; via dei Crociferi con le sue quattro chiese e i suoi monasteri che riassumono, nello spazio di duecento metri, un intero manuale di architettura barocca, e sembrano racchiudere fra le cancellate e le grate di ferro battuto vite, pensieri, sospiri e mondi perduti; piazza Stesicoro con i carretti dei gelati e la gente a chiacchiera; via Etnea con i suoi negozi e le pasticcerie; il castello Ursino edificato sul mare e da esso allontanato inesorabilmente dall’eruzione del 1693… Non è possibile enumerarne tutte le meraviglie, che si svelano anche nei più oscuri e decadenti cortili, trovati aperti per caso e inondati dalla vita dei fiori.
Ogni terrazza ospita almeno una pianta grassa, e basta passare dieci minuti con il naso all’insù per capire che in Sicilia il clima è davvero favorevole per le piante grasse: tutto ciò che a Firenze è una modesta piantina, qui sembra crescere sotto gli occhi in dimensioni mastodontiche… Sapendo dunque che la città è provvista di un orto botanico, le mie aspettative al riguardo si fanno molto elevate, e la visita non delude! Situato lungo la via Etnea, in una posizione leggermente decentrata, l’Orto Botanico di Catania è un piccolo gioiello ottocentesco ormai assediato da costruzioni ed edifici con appartamenti che sembrano risalire agli anni Sessanta del Novecento. Ma una volta varcato il cancello, non esiste più il traffico e l’andirivieni della gente, i rumori giungono attutiti e le uniche protagoniste sono loro, le piante.
Il patrimonio del giardino, distribuito su circa 16000 metri quadrati e prevalentemente collocato all’aperto, è suddiviso per collezioni particolari, fra ci spiccano le palme, le piante spontanee della Sicilia, e naturalmente le succulente, al posto d’onore sul lato sinistro dell’ingresso. Dal 1887 ad oggi, la collezione si è ampliata fino a comprendere migliaia di esemplari che rappresentano 2000 specie, soprattutto Cactacee, ma anche Asclepiadacee, Euphorbiacee, Agavacee, Crassulacee.
Gli esemplari più impressionanti sono degli Echinocactus grusonii di enormi dimensioni, secolari, che accolgono il visitatore proprio accanto al cancello del giardino. Ma anche i Ferocactus non scherzano! Molto bello è anche il settore dedicato alle Opuntie, genere rappresentato da diverse specie che si differenziano per la forma e la grandezza delle pale, la distribuzione delle spine, il colore dei fiori (e a maggio sono nel pieno della fioritura).
Non ci sono soltanto piante grasse, tuttavia: ho amato tantissimo questi fiori, nativi del Perù, di cui purtroppo non ho memorizzato il nome!
Sììì!!! è il fiore dove vanno sempre a mangiare i colibrì ed è un simbolo del Perù (almeno così ci hanno detto…)! Prima o poi ti dovrò far vedere anche i cactus peruani!!!
E comunque la tua regola aurea vale anche a Lecce, posso garantire!
Ti prego, trovami il nome! L’ho letto lì per lì pensando: tanto me lo ricordo… E poi il vuoto metafisico, naturalmente!
AGOGNO i cactus peruviani!
dovrebbe chiamarsi stramonio!
molto velenoso!!
I nomi erba del diavolo ed erba delle streghe si riferiscono alle sue proprietà narcotiche, sedative ed allucinogene, utilizzate sia a scopo terapeutico che nei rituali magico-spirituali dagli sciamani di molte tribù indiane. Contiene infatti, gli alcaloidi allucinogeni scopolamina e atropina[1]. L’uso della Datura stramonium per questo tipo di finalità è estremamente pericoloso in quanto la dose attiva di alcaloidi allucinogeni è molto vicina alla dose tossica. Della pianta vengono mangiati i semi o i fiori, talvolta utilizzati assieme alle foglie in forma di tisana.
Ciao Valentina e grazie per il tuo commento! Finalmente adesso conosco di che pianta si tratta e me ne ricorderò il nome…Come dimenticarsene, d’altra parte, con tutte le proprietà particolari che possiede e che hai descritto. Interessantissimo il suo uso per i rituali sciamanici. Certo che bello&pericoloso è proprio un binomio inscindibile!
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